“Upa Neguinho” di Chiara Stroia è una samba liberatoria
“Per me l’improvvisazione è tutto. È un concetto che vale anche quando scrivo brani pop e credo fermamente che se non avessi passato tutti questi anni a studiare jazz non sarebbe mai nata dentro di me questa attitudine nella scrittura a riportare parole che non esistono, un falso inglese, un modo di cantare non solo ciò che è scritto ma soprattutto ciò che si ascolta e quindi… il suono”. Con queste parole Chiara Stroia, giovane cantautrice già conosciuta come una promessa del jazz italiano, ci descrive immediatamente il suo background musicale nonché elemento primario del suo repertorio che sin dall’inizio le ha permesso di intraprendere un viaggio all’interno della musica fatto di creatività e ritmo, fantasia e sonorità leggere e sempre sognanti. L’abbiamo incontrata a proposito del singolo “Upa Neguinho”, uscito lo scorso 8 marzo, che prefigura ciò che sarà il suo ultimo album di cui fa parte il brano: “Alma”, in uscita il 12 aprile. L’album, prodotto da Totally Imported e composto, oltre che dalla voce sempre più leggiadra di Chiara Stroia, da Giacomo De Carolis (chitarra), Alessandro Del Signore (contrabbasso/basso), Alessandro Forte (batteria). Gianluca Siscaro (sound engineer). Una formazione di strumenti e musicisti che insieme delineano il colore acceso di un cocktail musicale in cui le dolci atmosfere jazzistiche incontrano e danzano con le sonorità brasiliane, dalla classica samba alla bossa nova, generando un mix di immagini uditive che vanno oltre il confine musicale italiano contemporaneo.
“L’album è nato circa un anno fa con la stesura dei brani che sono nati, come gran parte delle mie composizioni, con chitarra e voce. Nell’album sono presenti quattro brani inediti, tra cui Upa Neguinho, mentre gli altri sono brani già esistenti riarrangiati in questo caso da me e dalla mia band in chiave samba o comunque in chiave brasiliana. C’è stato un mix tra il mio background jazzistico e l’amore che nutro per la musica brasiliana, abbiamo cercato di farne un tutt’uno senza tendere troppo l’orecchio da una parte o dall’altra e creando così una buona via di mezzo. Io e gli altri musicisti abbiamo cominciato a provare i brani da un annetto per mettere su gli arrangiamenti eccetera e mi hanno dato davvero una grande mano, quindi li ringrazio pubblicamente.” Per indirizzare meglio lo sguardo e l’orecchio, Chiara Stroia ci ha fatto subito notare che: “Alma, il titolo dell’album, in brasiliano vuol dire ‘anima’. La decisione di intitolarlo così mi è venuta in mente perché volevo mettermi a nudo e mostrare la mia anima, le mie emozioni e sensazioni attraverso questi brani che fanno trasparire le sfumature che ho sempre amato della musica, soprattutto quella legata al Brasile”.
Premesse che certamente trovano il proprio spazio e la propria riuscita a partire dal brano “Upa Neguinho” che a detta della sua creatrice nasce dall’idea di portare alla luce una canzone che allo stesso tempo sia in grado di far riflettere ma anche ballare, facendo viaggiare la mente su altre orbite; aggiungendo che: “A partire dal titolo si evince che è un omaggio ad un grande brano della musica bossa nova divenuto molto famoso grazie ad Elis Regina, una cantante brasiliana che ho sempre amato. Il brano rappresenta la libertà, la voglia di appartenenza ma soprattutto la speranza; è un brano che parla di diversità, scritto tra napoletano e portoghese. Credo che alla fine Upa neguinho siamo un po’ tutti noi. Il brano l’avrei voluto scrivere tutto in napoletano, poi nel momento in cui lo stavo scrivendo in modalità chitarra e voce ho notato che nel ritornello ci stava bene questo ‘upa neguinho, upa neguinho’ e allora ho pensato che invece di fare la solita canzone solo in napoletano potevo miscelare al suo interno anche quest’espressione del dialetto stretto brasiliano”. Il brano prende ispirazione anche dai Nu Genea, duo campano che si è imposto con grandi sonorità e stile sulla scena internazionale; e da grandi nomi della musica brasiliana come Antônio Carlos Jobim, la grande Tanja Maria e la figlia di Elis Regina, Maria Rita. Tra le numerose qualità che il brano e l’album portano al proprio interno vi è sicuramente l’utilizzo dello scat, una tecnica attraverso cui la voce viene utilizzata come uno strumento musicale. Nonostante questo grammelot musicale sia di stampo jazzistico, in Italia vi sono stati alcuni artisti che hanno saputo riportare una tale complessità nella propria musica, in particolare Adriano Celentano e Lucio Dalla.
Chiara ci ha spiegato che questa sua passione verso lo scat è in realtà: “Frutto degli anni di studio in conservatorio e della mia passione per il jazz che è una musica legata moltissimo all’improvvisazione. L’album si chiude con un brano in cui c’è una totale improvvisazione mia e dei musicisti, in cui la voce viene utilizzata come uno strumento musicale appunto. Per tutto l’album ho cercato di utilizzare la mia voce come fosse un pandeiro o uno shekere o anche una tromba, facendo così dei suoni diversi. Mi piace giocare con la voce lavorando molto anche sulle sfumature che ne conseguono e le lingue e i dialetti aiutano in questo. Amo infatti l’utilizzo del napoletano perché le parole ridondano negli armonici in un determinato suono. Fin dai tempi del conservatorio trascrivevo degli assoli di strumenti musicali, soprattutto quelli a fiato, il ché mi ha aperto molto a quest’idea di universalità della voce. Voglio aggiungere che quest’improvvisazione che riaffiora nell’album, oltre che nel brano ‘Upa Neguinho’, è frutto anche del fatto che si è creata una bellissima interazione in studio di registrazione con chi mi ha accompagnato in questo viaggio. Il disco è nato e ha preso forma durante le registrazioni che si sono svolte in totale presa diretta, come fosse un concerto, e credo che questo abbia aggiunto qualcosa di speciale all’ascolto. Anche determinate sbavature presenti sono figlie di questa registrazione live, senza stacchi, che rende il tutto più vero, più autentico”.
Francesco Latilla