“Il mio è un elogio all’incoerenza”: il pop di Avincola sfonda le porte e anche i cuori

“Il mio è un elogio all’incoerenza”: il pop di Avincola sfonda le porte e anche i cuori

 

“Quando la faremo finita di prenderci a pugni con le parole, quando la faremo finita di prenderci a calci con le parole…”

 

Viviamo in tempi in cui qualunque cosa sia vicina al cantautorato, al pop, e a volte anche all’hip pop meno underground viene definito come indie, termine che ha fagocitato tanta musica, tanti generi, tante canzoni e che ha riformulato un nuovo approccio alla scrittura musicale nel grande universo del pop in tutte le sue sfaccettature. Avincola, senza alcun dubbio tra i cantautori che esprimono maggiormente e con una visione più fanciullesca la nuova canzone italiana, è stato varie volte associato al macrocosmo del cosiddetto “indie pop”. Ma è davvero figlio di quella stagione musicale? In questo dialogo abbiamo cercato di intrufolarci tra la nebbia dei ricordi del giovane autore che grazie alla celebre canzone “Goal!” è salito sul palco dell’ Ariston, tra le nuove proposte, in una delle ultime stagioni di Sanremo, stregando con la forza dei suoi testi anche Morgan e venendo associato da figure come Piero Pelù e Andrea Barbarossa ad un’icona fuori dagli schemi della musica nostrana, Ivan Graziani.

 

Nel 2020 partecipi al programma televisivo Ama Sanremo con il brano “Goal!” che ti ha permesso di entrare tra le nuove proposte della stagione 2021 di Sanremo. Che ricordi hai di quell’edizione e quali sono che le chiavi d’accesso attraverso cui noi ascoltatori possiamo introdurci nella canzone?

 

Partendo dai ricordi che conservo, posso dire che sono belli e permeati da un’estrema soddisfazione specialmente perché sono uno che ha fatto e che ancora oggi fa tanta gavetta e sicuramente il semplice fatto di essermi trovato lì è stato davvero meraviglioso. Da scrittore di canzoni, quando ripensi al momento in cui scrivi un brano nella tua stanza quasi a lume di candela e poi ti ritrovi a cantarla in televisione è una bella botta. La cosa però più forte non è neanche tanto il mezzo televisivo di per sé, ma il pensiero che attraverso quello strumento puoi condividere la tua musica con milioni di persone che in quel momento neanche vedi ma senti che ci sono ed è la cosa più bella perché per me la musica è condivisione. Poi è stato bello anche il fatto di aver avuto l’occasione di conoscere colleghi che sono diventati amici e con cui ho condiviso il percorso sanremese e non solo. Per quanto riguarda la canzone, sicuramente più difficile da spiegare dato che il bello della musica è che ognuno ci vede quello che vuole, potremmo definirla classicamente avincolesca dato che comincia con un moto più malinconico ma che poi, verso il finale, cerca di raggiungere un sentimento di speranza, una speranza forse ingenua ma sana perché è attraverso di essa se si ha la forza di credere che attraverso dei piccoli gesti si possano risolvere anche le situazioni più complicate.

 

 

Credi che la canzone possa raccontare un’intera notte al cui termine vi è comunque un’alba?

 

Si, esatto. Sicuramente è legata a quell’immaginario lì, l’attesa della luce dopo la notte.

 

Come hai affrontato quel trampolino così importante dato che davanti a te c’erano dei giudici che hanno segnato la discografia nostrana, tra cui Morgan e Piero Pelù?

 

Diciamo che ho cercato di vivere la cosa con il massimo della leggerezza, anche se alla fine si è sempre un po’ in tensione, perché credo davvero che qualunque giudizio a prescindere dal ruolo che ha colui che lo espone ha la stessa importanza. Se un cantautore mi dice che gli è piaciuto il brano e poi me lo dice anche un idraulico davvero non noto alcuna differenza, sono sincero. Chiaramente in quel caso ero in un contesto dove avevo davanti una schiera di giudici che hanno a che fare con la musica ad alti livelli da molto tempo, però davvero non ho pensato molto a questa cosa, anzi, ci sto pensando adesso per rispondere alla vostra domanda. Prima di ogni esibizione cerco sempre di tornare a quello stato interiore che avevo quando ho scritto la canzone per interpretarla al meglio e forse è proprio questo che mi ha distratto dal fatto che sarei stato commentato dai giudici. Verso tutti nutro un certo rispetto, anche se poi mi sento più vicino ad alcuni, come Morgan, più che altri magari.

 

 

Non era però la prima volta che partecipavi a Sanremo giovani. Partendo da questo, puoi raccontarci le tappe e gli incontri più importanti che hanno segnato la tua carriera musicale dagli esordi ad oggi?

 

In realtà questo è un altro domandone perché se si va a scavare si scopre che tra gli incontri più importanti non ci sono per forza solo artisti ma magari, come nel mio caso, una band, un gruppo di persone affiatate con cui poter condividere una grande amicizia oltre la passione per la musica e credo sia una delle cose più belle. Fortunatamente ho avuto diverse soddisfazioni, un po’ me le sono cercate, collaborando con vari artisti come Riccardo Sinigallia che stimo tantissimo o andando come ospite da Fiorello e in tutto ciò lo stesso Morgan, dopo il nostro incontro a Sanremo, si è avvicinato alla mia musica e infatti adesso abbiamo un progetto in cantiere ossia trasformare in forma di canzone i commenti poetici che Panella ha dedicato alle sue poesie contenute nel libro “Parole d’aMorgan” ed è come un laboratorio i cui frutti spero si vedano presto. La cosa sorprendente è questa fusione tra l’immaginario di Morgan, attraverso le sue poesiestuoende, e le risposte poetiche di Panella che traggono ispirazione dai suddetti testi ed è qualcosa di unico.

 

 

Hai mai fatto goal nella tua vita? E cosa vuol dire per te fare goal?

 

Penso di aver fatto alcuni goal e la mia esperienza a Sanremo sicuramente fa parte di questi, però  ciò che un po’ mi salva e mi aiuta a proseguire questo cammino tortuoso è il pensiero che alla fine si è sempre al primo tempo della partita e sicuramente arriverà anche il secondo.

 

Una volta hai detto che delle canzoni ami poter scrivere il finale a modo tuo, secondo quella che è la tua visione. Credi che attraverso la musica il cantautore cerca di ricreare una realtà propria, immaginaria, come catarsi o come antidoto alla quotidianità?

 

Non so se lo è anche per gli altri cantautori ma almeno per me è così. Sapete, è da quando ero piccolino che scrivo, scribacchiavo sempre poesie, e all’inizio non me ne accorgevo ma col passare degli anni mi sono accorto che forse la cosa che mi spinge di più è questo desiderio di prendere spunto dalla realtà ma utilizzando il potere di trasformarne il finale a modo mio. È l’unico momento della mia vita in cui posso scegliere come finire una storia e probabilmente è questo ciò che mi spinge a scrivere certe cose, l’unico modo che ho per parlare con me stesso senza accorgermene.

 

 

Quindi è una sorta di autoanalisi?

 

Mentre scrivo no perché in quel momento sento l’urgenza di tirare fuori alcune pulsioni, poi rileggendo ciò che ho scritto magari riesco a capire delle cose che neanche nella vita reale riesco ad afferrare.

 

Come vedi lo stato attuale del pop in Italia?

 

Domandone gigante. Partiamo dal fatto che con l’espressione pop si intendono tante cose. Sicuramente è cambiato qualcosa da quando c’è stato questo ingresso del cosiddetto indie e la vedo una cosa positiva, tra l’altro quando c’è un cambiamento forte nella musica io sono sempre contento al di là anche dei gusti che ognuno può avere. La cosa bella è che si è venuta a creare una parte di pubblico che ha cominciato a riversarsi nelle piazze per ascoltare dei cantautori che non passavano in radio o in televisione e questa credo che sia stata la piccola rivoluzione e attraverso di essa il pop si è trasformato. Adesso le major vanno a pescare gli artisti dalle etichette indipendenti e lì si crea però un quesito: “Allora quelli che erano definiti indie pop erano davvero indipendenti?” nel senso che il punto è capire se si tratta solo di un discorso stilistico che genera il cosiddetto indie o se invece è legato ad una visione indipendente sul piano musicale. In realtà nessuno sa come è nato tutto questo e soprattutto il titolo di indie, però è evidente che molti di questi artisti abbiano subito una trasformazione che li ha portati nel mercato mainstream, cosa che in realtà non dispiacerebbe neanche a me. Per chiudere questo discorso vorrei far notare che Calcutta, sicuramente tra i cantanti indie più emblematici, ha creato un nuovo modo di scrivere canzoni in Italia.

 

 

Credi quindi che ci sia la necessità di un rinnovamento nella musica italiana e quale credi sia la via maestra da seguire?

 

Bella domanda a cui è difficile rispondere. Da una parte credo che ognuno debba scrivere quello che sente e se cerca un rinnovamento della propria musica va bene, basta che non scimmiotti nessuno, l’importante è che rispecchi comunque l’autore e ci sia una sincerità e a proposito di questo, se devo essere sincero manca molto la sperimentazione, c’è un po’ un piattume. La stessa cosa l’ha detta anche Morgan in un’intervista tempo fa ed è una grande verità, il problema che affligge la musica italiana contemporanea è che c’è troppo piattume.

 

A proposito di sperimentare, quanto la parte più pura e fanciullesca influisce sulle tue canzoni e sul tuo immaginario musicale? Quanto c’è bisogno dell’io bambino che ci permette di fare rivoluzioni interiori continue?

 

Per me è fondamentale custodire quel bambino perché rappresenta la curiosità. In questo mestiere bisogna sempre essere curiosi, cercare cose nuove, essere aperti ad altri orizzonti. Spesso si parla male di chi viene definito incoerente elogiando invece colui che viene etichettato come coerente con sé stesso. Da una parte è anche giusta questa cosa ma sempre se legata alla visione del bambino e quindi di una sana coerenza che però non smette mai di cercare. Però vorrei fare un elogio dell’incoerenza, perché essere incoerenti porta a fare sempre cose nuove e oggi soprattutto potrebbe essere un valore, dato che tutti vogliono apparire come coerenti e poi magari neanche lo sono davvero, io invece a tali espressioni preferisco la strada dell’incoerenza.

 

Intervista di Francesco Latilla e Francesco Subiaco

 

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