“Contromosse” elettorali: intervista a Luigi Di Gregorio

“Contromosse” elettorali: intervista a Luigi Di Gregorio

Luigi Di Gregorio è uno dei principali esperti di comunicazione politica in Italia. E’ professore  di “Comunicazione politica” all’Università della Tuscia (Viterbo). E’ noto per la sua capacità di “sfruttare” i nuovi media al fine di divulgare i tecnicismi di una materia tanto affascinante quanto complicata quale è la comunicazione politica. In passato è stato ospito di TedxTalks dove ha parlato delle fragilità della democrazia e di come andare oltre questo debolezze, mentre ora è recentemente approdato al mondo del podcasting: in collaborazione con Giovanni Diamanti ha avviato “ControMosse”, per parlare delle strategi comunicative e di visione dei vari esponenti del mondo politico . 

Professore, recentemente ha avviato il podcast “ControMosse” assieme a Giovanni Diamanti per analizzare lo scenario politico e le strategie dei leader. Cosa può portare in più lo strumento del Podcast rispetto a quello tradizionale della comunicazione scritta?

Il podcast è un po’ lo strumento del momento. D’altronde, gli indici di lettura nel nostro paese (e non solo) parlano chiaro. Per certi versi, bisogna andare incontro alle esigenze del mercato. E il mercato ci dice che più si riducono i costi e gli oneri per informarsi, più si diventa user friendly, più è facile arrivare alle persone. È una regola ferra della società dei consumi: più mi vieni incontro, meno mi fai faticare, più ti apprezzo e ti scelgo. Non a caso, anche gli audiolibri sono in crescita. Chiaramente, rispetto alla comunicazione scritta può portare qualcosa di più in termini divulgativi e di diffusione di alcuni concetti anche complessi. Bisogna essere bravi a semplificare senza banalizzare e ad approfondire senza annoiare. Un continuo equilibrio tra la forma e il contenuto, i concetti e la performance. 

Nelle prime due puntate ha approfondito le elezioni amministrative, appuntamento molto importante anche in vista delle Politiche che si terranno nella primavera del prossimo anno. Degno di nota è stato il risultato di Fratelli d’Italia che al nord ha superato i consensi della Lega, partito notoriamente legato a quel territorio. Un ulteriore segnale che Giorgia Meloni guiderà la coalizione di centrodestra o questo rischia di portare a dei mal di pancia da parte di Salvini e Berlusconi con possibili conseguenze catastrofiche per la stabilità dell’alleanza? 

Questa è la domanda del momento nel centrodestra. La crescita perentoria di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia e il nuovo posizionamento come partito conservatore sta sicuramente creando fibrillazioni interne alla Lega e a Forza Italia. Nel senso che non solo sta drenando voti sul fronte che fino a poco tempo fa avremmo definito “sovranista”, ma potrebbe farlo anche su quello più moderato (specie se il re-branding del partito dovesse essere convincente). Tuttavia, queste fibrillazioni per ora non hanno portato a niente. Siamo a un bivio, ma nessuno decide quale strada imboccare. Non si discute per lavorare a una coalizione forte e omogenea in vista delle politiche, né ci si muove per lo scenario opposto – ossia lavorare all’area di centro di cui si parla da tempo, con eventuale federazione tra Lega e Forza Italia. E ciò direi che non accade perché – a differenza di Fratelli d’Italia – quei due partiti oggi sono divisi. È come se ci fosse una Lega di Salvini e una Lega di “draghisti”, così come mi pare ci sia un pezzo di Forza Italia che guarda al centro e uno che guarda a destra. Sembrano due situazioni di stallo. Nel mentre, giustamente, Giorgia Meloni fa il suo. E cresce. 

Chi ne esce, invece, con le ossa rotta è il Movimento Cinque Stelle. La comunicazione e la strategia di Conte possono combaciare con le idee fondanti dei grillini o il dovuto cambio di rotta sta destabilizzando gli elettori già delusi dalle scelte attuate in questa legislatura da Di Maio e co.?

Conte è stato per diversi mesi l’unica ragione per cui il Movimento 5 Stelle ha retto un minimo. Con la sua popolarità, acquisita in era Covid, ha compensato gli altri deficit di quel partito. Oggi però non basta più e sono emersi tutti i problemi, che sono molto profondi. Cos’è oggi il M5S? Perché un elettore dovrebbe votare per quel partito? Il messaggio è chiaro o è confuso? La leadership di Conte è salda o no? Tutti questi deficit sono tra loro intrecciati e producono conseguenze a cascata. Se, come partito, non hai un posizionamento chiaro, ossia qualcosa che ti distingua dagli altri e ti dia un’identità forte, il messaggio si indebolisce. A quel punto qualsiasi leader fatica e comincia a sembrare incerto, contraddittorio, a barcamenarsi per tenere insieme tutto, ma più si barcamena più è a rischio contraddizioni. Diventa un circolo vizioso. E mi pare che Conte sia finito nel pieno di questa spirale. 

 

I politici sembrano recalcitranti a sfruttare i nuovi media, come i podcast, per creare consenso, e le poche volte che ci provano i risultati sembrano mediocri. Quanta importanza avranno i nuovi strumenti, come podcast o TikTok, per attirare i nuovi elettori?

Difficile dirlo. Tik Tok è sicuramente un social utile per provare a raggiungere le fasce più giovani della popolazione (spesso in età pre-voto) e quindi per “popolarizzare” la propria immagine. Ma va gestito con attenzione perché si rischia di raggiungere quelle fasce e magari perdere popolarità tra le altre, se si esagera con video troppo “pop” che magari rasentano il trash. E’ chiaro che targetizzare e modulare l’offerta in base ai pubblici diversi è giusto, ma il sistema mediale è ibrido, quello che fai su Tik Tok non resta su Tik Tok. Se fai un video virale in base alle logiche e al pubblico di quel Social network, per altri pubblici può essere una cosa inaccettabile o riprovevole. Insomma, direi che per ora prevalga cautela, anche sensata.

Quanto ai podcast, è chiaro che più che uno strumento per politici, è uno strumento per opinionisti e analisti. Difficile utilizzarlo con una logica politica, da campagna permanente. Anche perché è uno strumento che necessita di una sua programmazione, di continuità, di preparazione delle puntate… non si può improvvisare. Su questo fronte social e tv sono ancora vantaggiosi, perché lì si può improvvisare facilmente e si può far breccia con messaggi brevi, semplici ed emozionali che non necessitano chissà quale preparazione. Nel marasma delle dichiarazioni quotidiane e, dovendo sfruttare il ciclo di vita (brevissimo) delle notizie, il Podcast non è uno strumento utile. Potrebbe esserlo per parlare di scenari di lungo periodo, per spiegare la propria visione, i propri valori, i propri programmi, cose che in teoria non cambiano dall’oggi al domani. Ma quanto conta il lungo periodo per la politica di oggi? Quanto incide sulla costruzione del consenso? Direi pochino. Pertanto investire su uno strumento del genere rischia di produrre più costi che benefici.

A cura di Alessio Moroni

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