Oltre Freaks Out: le opinioni del “clown” Giancarlo Martini

Oltre Freaks Out: le opinioni del “clown” Giancarlo Martini

Giancarlo Martini è quello che mancava nel nuovo cinema italiano, una maschera. Egli rappresenta il ritorno in scena del clown, dell’attore-caratterista che grazie al suo talento riesce perfettamente ad inserirsi in quel caravanserraglio ospitato da arcane marionette come Totò, Peppino De Filippo, Franco e Ciccio, Leopoldo Trieste e tante altre. Nato in teatro, dopo una lunga frequentazione con i testi di Shakespeare, Plauto, Pirandello, giunge alla notorietà grazie al personaggio di Mario, la calamita umana, tra i protagonisti  dell’incredibile film di Gabriele Mainetti “Freaks Out”.

Sei tra i protagonisti dell’ultima pellicola di Gabriele Mainetti dal titolo Freaks Out. Come è stato lavorare su un set del genere?

Lavorare in questo film è stata un’esperienza meravigliosa. Prima delle riprese abbiamo fatto un ritiro di quattro giorni in un casale dove c’eravamo solo noi attori, isolati dal mondo, ed una volta varcata quella soglia eravamo già diventati Mario, Fulvio, Matilde e Cencio e da lì abbiamo vissuto proprio come i personaggi del film, mangiando e dormendo come loro. La mia preparazione al film ha avuto vari step, il primo è stato un provino in cui il personaggio era piuttosto diverso rispetto a quello che è divenuto alla fine. Quel provino era legato all’improvvisazione, sarà durato tre/quattro ore, Gabriele aveva preparato per me due persone che mi facessero da spalla ed è stato favoloso, nonostante la fatica, e così abbiamo caratterizzato il personaggio in più prospettive. Pensate che Gabriele all’inizio ha parlato con il direttore del casting Francesco Vedovati dicendogli che io gli piacevo molto come attore ma che non ero adatto al film e poi invece, dopo qualche giorno, mi ha richiamato dicendo che aveva visto il filmato del mio provino e si era convinto. Era rimasto molto affascinato e voleva che io diventassi totalmente Mario. Probabilmente durante il provino si era fossilizzato soltanto sulla mia persona e quindi non aveva avuto la capacità di vedere quello che è fuoriuscito in ripresa. Ottenuta la parte, mi sono immerso nel personaggio partendo dalla visione di una miriade di film in cui c’erano delle figure, delle persone, che per la società sono considerate diverse, coloro che hanno un ritardo. Io ho cercato di apprendere da questi filmati tutta la commozione che fuoriusciva da quei personaggi e l’amore che cercavano. Infine, con la mia compagna Paola, ho fatto un ulteriore lavoro adottando il personaggio di Mario in casa come se abitasse con noi, era una sorta di figlio a tutti gli effetti e devo dire che è servito molto a livello empatico per assumere poi il suo volto sul set. Spero che quell’empatia su cui noi attori abbiamo lavorato sia poi arrivata al pubblico, soprattutto il senso di famiglia unita a cui tenevamo molto.

Com’era nella prima bozza il personaggio di Mario?

Era sempre un nanetto, però con addirittura un gran testone. In quel caso Gabriele, assieme allo sceneggiatore Nicola Guaglianone, si era ispirato un po’ a Freaks di Tod Browning. Voglio dire che è stato fantastico lavorare con un regista meraviglioso, una persona estremamente meticolosa ma che ti lascia anche uno spazio libero su cui lavorare e infatti sul set abbiamo improvvisato molto. Ad esempio, nella scena del rastrellamento degli ebrei a Piazza Margana ci sono dei nazisti che mi strattonano mentre mi conducono verso la camionetta, io in quel momento sono caduto volontariamente e infatti al primo ciak Gabriele si è alzato dicendo: “Fermi! Fermi! S’è fatto male Giancarlo.” Quella caduta sembrava così vera che tutti si sono preoccupati, io li ho tranquillizzati dicendo che ero caduto apposta per la scena e questo a Gabriele è piaciuto molto, però mi ha fatto mettere delle ginocchiere per attutire il colpo. Poi quando c’è la selezione dei Freaks da parte del cattivo Franz, il fatto che mentre utilizzo la mia testa come una calamita per un cucchiaio dico la battuta: “Io so bravo eh, io so bravo eh” non era scritta sulla sceneggiatura. Questi sono solo alcuni esempi che tra l’atro possono sembrare delle piccolezze, ma in realtà danno colore al personaggio.

Mario è un personaggio empatico e grottesco, caratterizzato da un animo gentile. Quanto c’è di autobiografico al suo interno?

Di mio c’è abbastanza. Per me l’arte della recitazione è utilizzare i propri sentimenti nel corpo di qualcun altro, perché credo che chiunque di noi abbia una varietà di sentimenti che poi, ovviamente, in base all’esperienza di vita variano o meno. Però magari fossi come Mario. Purtroppo non ci sono ancora arrivato a quella visione del mondo, però sono indirizzato verso quella strada perché lui è la rappresentazione di come dovrebbe essere l’uomo. È uno che vuole così bene a tutti che persino quando si fa male qualcuno dei nazisti lui si preoccupa.

Dato il tuo essere nato in teatro, quanto hai portato dell’esperienza col palcoscenico in un’opera così teatrale come Freaks Out?

Tantissimo. Il mio personaggio è molto teatrale, anche i movimenti e le espressioni vengono da quella struttura. Quando Gabriele mi ha scelto, ha deciso di farmi fare da spalla ai provini per Cencio e Matilde e poi guardando il filmato mi diceva: “Oh non fai niente e te vedi solo te!” quindi credo che oltre ad una questione di fotogenia vi sia anche la base teatrale che mi ha permesso di utilizzare il corpo in una determinata maniera.

Il circo è il vero protagonista del film. Cosa provi nell’essere un nuovo volto di quel mondo clownesco quasi interamente scomparso?

Parto col dire che dopo aver letto la sceneggiatura sono rimasto estasiato, perché già solo l’idea del circo mi  riportava all’essere bambino e dunque era come se fosse un sogno, una speranza per certi versi. Le performance che mettono in scena i circensi danno un segno di speranza verso un mondo migliore agli occhi dei bambini, li fanno sognare. Per me è stato bello raccontare un mestiere del genere che un tempo aveva più consensi e devo dire che fortunatamente nel cinema sta tornando una dimensione fiabesca che anche se non collegata direttamente al circo è comunque un suo proseguimento sul grande schermo.

Intervista di Francesco Latilla e Francesco Subiaco

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