L’evoluzione del conflitto russo-ucraino: intervista al Prof. Santangelo

L’evoluzione del conflitto russo-ucraino: intervista al Prof. Santangelo

Un anno fa il Borghese Giovani intervistò il Professore Santangelo sul conflitto che da poco era scoppiato alle porte del continente europeo. A distanza di dodici mesi i cambiamenti rispetto all’inizio sono stati molteplici, sia nell’assetto nazionale – con il nuovo Governo di centrodestra trazione Fratelli d’Italia – sia in quello internazionale. Ci è sembrato doveroso interpellare nuovamente il professore per analizzare e approfondire meglio il futuro geopolitico che ci aspetta e lo stato del conflitto in questo momento, ovvero poco dopo il crocevia fondamentale della visita di Biden in Ucraina.

Professore, come si sta evolvendo il conflitto russo-ucraino? Crede che sarà ancora lunga la strada per poter aprire a un negoziato diplomatico?

Qualcosa si sta muovendo sul versante diplomatico, ma, data la rilevanza assunta sul piano internazionale da Zelensky, tutto passerà da Kiev (e i rimescolamenti nella compagine governativa e negli organigrammi militari sono segnali da interpretare anche in questa direzione). 

Resta il fatto che anche questo conflitto (come in realtà ogni confronto ammantato dalla “Nebbia di guerra”) mostra i limiti della sottovalutazione del proprio avversario. Putin ha sottostimato la tenuta della coalizione, la capacità del mercato energetico di resistere al suo tentativo di trasformare Oil e Gas in armi e la combattività degli ucraini. Noi abbiamo sopravvalutato la capacità delle sanzioni di incidere politicamente, economicamente, socialmente e quindi militarmente sui margini di manovra dei russi in un lasso di tempo compatibile con gli umori della nostre opinioni pubbliche. Come sempre vincerà chi saprà imparare prima dai propri errori e imporre all’avversario il proprio Ciclo OODA (codificato da John Boyd): Osservazione, Orientamento, Decisione e Azione.

Comunque ritengo che – dal 20 febbraio – siamo entrati in una nuova fase del conflitto. Il viaggio a sorpresa di Biden, quello della Meloni, la missione diplomatica cinese al massimo livello, il discorso di Putin con il Ministro degli Esteri cinese presente a Mosca: siamo di fronte a una catena di mosse e contromosse mediatiche e diplomatiche tutte da interpretare, in particolare il nuovo protagonismo di Pechino.

In questo quadro la politica italiana appare notevolmente divisa. Anche all’interno della stessa maggioranza hanno fatto rumore le parole di Berlusconi, che si è mostrato alquanto critico con Zelenski. Crede che ci possa essere in futuro un raffreddamento degli aiuti verso l’Ucraina o, anche per mantenere la fiducia dell’UE e degli USA, si continuerà sulla linea degli aiuti e del sostegno diretto?

Intanto occorre riconoscere la grande abilità tattica di Giorgia Meloni, che ha avuto la capacità di sostituire (o meglio affiancare) all’ancoraggio esterno europeista quello atlantista, che si esemplifica con l’appoggio a Kiev senza se e senza ma. 

Di fatto questo le permette di mantenere sotto controllo i suoi riottosi alleati, tenendosi anche aperta l’ipotesi di guidare una eventuale “Coalizione di volenterosi” accomunati da questa posizione di politica estera (Giorgetti, Tajani, il Terzo Polo e persino il PD). Invece, quella parte dell’opinione pubblica del Paese (in realtà molto forte anche in Francia e Germania) contraria alle sanzioni e all’invio delle armi è praticamente condannata all’irrilevanza, perché queste posizioni hanno come megafoni politici alcuni estremisti (spesso gli stessi che presidiavano le posizioni novax) che hanno occupato e di fatto marginalizzato un’agenda che invece nelle prime settimane del conflitto aveva come principale esponente Papa Francesco.

Ormai, essendosi sovrapposti – i non sempre coincidenti – interessi NATO e UE, mi sembra che in tanti hanno legato il proprio destino politico a quello di Zelensky. Fatta salva una vittoria dei trumpiani o una non tenuta del centro di questa architettura (alcuni segnali economici e sociali vanno in questa direzioni) – eventi che potrebbero rimescolare le carte in tavola – mi sembra che la traiettoria sia segnata.

Uno dei potenziali mediatori, la Turchia, appare politicamente frastornato dal tragico terremoto e dalle imminenti elezioni. Crede che al momento Erdogan sarà temporaneamente indebolito da questi due eventi o non ci saranno grandi conseguenze a livello interno e geopolitico?

Come potrebbero non esserci delle conseguenze di fronte a 50mila morti e a devastazioni pari a un conflitto ad alta intensità i cui effetti concentrati si sono manifestati (come in un attacco termonucleare) in pochi minuti? 

Misureremo il tutto con la posizione che Ankara manterrà nei confronti dell’ingresso di Finlandia (favorevole) e Svezia (fortemente condizionato, al punto da essere negativo) nell’Alleanza atlantica. 

E poi, a breve, Erdogan dovrà affrontare quello che forse è il più complicato tornante politico della sua carriera (non a caso si sta parlando della possibilità di rinviare di un anno le elezioni).

L’ultimo lavoro del prof. Santangelo sul tema. “Fronte dell’est. Passato e presente di un destino geografico”, Castelvecchi, Roma 2022

In tutto questo quadro la Cina cosa fa? È davvero interessata a far continuare alla Russia una guerra da cui difficilmente può guadagnare qualcosa?

La Cina, come in realtà tutti i “soggetti” (a differenza degli “oggetti” della Politica internazionale) tende a massimizzare la propria posizione. 

Intanto guadagna forniture energetiche scontate da Mosca, a cui si aggiunge un indebolimento delle filiere produttive concorrenti minate dall’asfissia della domanda interna, assediate dall’incremento dei costi di produzione e dall’incertezza geopolitica. Si giova inoltre dell’ambiguità strategica dell’India e più in generale dei Brics (mi sentirei di aggiungere anche di Germania e Giappone che pure riarmano) e infine sottopone gli Alleati occidentali a una sovraestensione imperiale che proprio la dottrina “Pivot to Asia” – creata da Obama e implementata da Trump – avrebbe dovuto impedire. 

La variante di Biden/Blinken (“Democrazie contro Autocrazie”) mi sembra non stia funzionando, perché dimentica il primo comandamento delle potenze egemoni: “Dividi e Comanda”. Esattamente il contrario di quanto sta avvenendo con il tentativo del doppio (nel caso dell’Iran, triplo) contenimento.

Riguardo alla Cina, analizzando gli ultimi accadimenti, con la missione a Monaco e a Mosca del Ministro degli Esteri del Partito (superiore a quello del Governo cinese), ritengo che Pechino abbia visto la finestra di opportunità che stava aspettando per entrare nell’agone: finestra di opportunità seguita anche al fatto che (come detto prima) il Cigno Nero del terremoto sta paralizzando l’azione e contenendo l’ambizione di Erdogan, con la Cina che ne prende il posto con ben altra disponibilità di risorse. L’obiettivo di Xi Jinping potrebbe essere quello di mettersi al centro del negoziato per fermare il conflitto prendendo il centro dell’ONU e, di fatto, relegando gli USA a un ruolo di “parte” rispetto a quello diplomatico centrale della Cina. Solo a quel punto, come afferma il raffinato analista Francesco Marradi: “Potremo valutare di chi saranno le varie Vittorie di Pirro sui vari livelli in cui è articolato questo conflitto”. 

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Intervista di Alessio Moroni

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