La vera storia della fiamma tricolore

La vera storia della fiamma tricolore

La fiamma tricolore a 76 anni dall’adozione continua a far discutere. Il simbolo appartenente sin dagli albori al Movimento Sociale Italiano prima, ad Alleanza Nazionale poi, e a Fratelli d’Italia adesso, è stato accusato di ricondurre ad un’eredità fascista, della quale Giorgia Meloni – a detta dei suoi avversari – dovrebbe liberarsi per adempiere agli ideali democratici della Repubblica Italiana.

Una polemica tipica di una campagna elettorale nella quale vi è poco spazio ai contenuti e si lascia in primo piano la discussione sulla forma. Una questione sterile che non guarda nel profondo e che impedisce di conoscere realmente la storia dello storico simbolo della Destra Sociale.

La fiamma tricolore, adottata dal 26 Dicembre 1946 (data di fondazione del MSI), fu disegnata dal Professore Emilio Maria Avitabile, su sollecitazione di Gianni Roberti, storico segretario generale della CISNAL dal 1964 al 1977 e Onorevole del MSI dalla prima alla settima legislatura.

Ciò è noto grazie alle corrispondenze che Avitabile ebbe con il pittore Carlo Carrà, che in una lettera gli scrisse: «Lei meriterebbe più premi di quanti ne ha avuti, ma ha il demerito di aver nobilitato il suo partito con quel bel simbolo che nel 46 disegnò». L’ipotesi fu poi confermata anche da Giorgio e Assunta Almirante, che precedentemente avevano avallato la tesi di Enzo Erra – storico esponente dei “Figli del Sole” – secondo la quale lo storico segretario scelse il simbolo su suggerimento di un mutilato di guerra.

La fiamma tricolore non venne scelta per alimentare un collegamento col fascismo, ma volle rivendicare la volontà di mantenere vivo l’amor patrio all’indomani di una feroce guerra civile che aveva distrutto il tessuto civico-sociale dell’Italia. Un significato che solo la fiamma poteva trasmettere, essendo metafora del riaccendersi di passioni e sentimenti che si credevano ormai sopiti.

E ancor più superficiali appaiono le accuse al trapezio posto sotto ad essa, che a detta degli accusatori venne posta come omaggio alla tomba del defunto Benito Mussolini. Un’insinuazione rifiutata da Cesco Giulio Baghino, fondatore e Deputato del MSI, che in un’opera del giornalista Nicola Rao dichiarò che «L’idea del trapezio ci venne dopo, per poter trovare uno spazio alla dicitura ‘Msi’. La storia che il trapezio rappresenti la bara del Duce si diffuse dopo, ma non era nelle nostre intenzioni iniziali». E appare difficile che potesse venire l’idea di apporre sotto alla fiamma la tomba di Mussolini, in quanto non era ancora presente una sua tomba. Dal 1946 le sue spoglie furono nascoste – dopo essere state prese da un gruppo di ragazzi guidato da Domenico Leccisi che le portarono prima a Madesimo e poi al Convento di Sant’Angelo di Milano – nel Convento dei cappuccini di Cerro Maggiore. Saranno trasferite a Predappio solamente nel 1957, su iniziativa dell’allora Presidente del Consiglio Zoli.

Si fatica quindi a non vedere in tutto ciò delle accuse pretestuose per colpire Fratelli d’Italia, ma non si può accettare uno scontro politico nel quale vengono attaccati con accuse gratuite dei simboli che la storia ha legittimato, accettandoli nel giogo politico attraverso la presenza di essi nelle schede elettorali.

Riesumare una polemica del genere è deleterio poiché abbassa ancor di più il livello della discussione elettorale, andando a mettere in secondo piano i programmi, coloro che dovrebbero essere i veri protagonisti del dibattito, affinché l’Italia possa uscire dalla profonda crisi economica e sociale.

Alessio Moroni

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