Luca Palamara è stato il più giovane presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, ed è stato anche il primo ad esserne espulso. Ha ammesso i suoi errori e ha pagato ma è stato anche usato da capro espiatorio da parte di quella magistratura che, alla ricerca di coprire il cosiddetto Sistema ha cercato di accorpare tutte le storture della giustizia in un solo uomo. Un’ipotesi che anche a chi non ha seguito le vicende sopracitate non può che apparire poco credibile: come può un singolo magistrato poter coordinare una realtà così numerosa ed influente? Per tali ragioni Palamara ha raccontato il mondo – talvolta oscuro – della giustizia italiana, sottolineando gli affari, le lobby e gli intrighi che gravitano attorno ad esso, presentando – assieme all’abile collaborazione di Sallusti – un quadro che necessita di essere dipinto nuovamente da zero, venendo meno alle storture presenti e che hanno permesso ai potenti di mantenere le loro posizioni di forza. Conscio che ancora non è stato raccontato tutto, e spinto da un’opinione pubblica che – a trent’anni da mani pulite – spinge, assieme alla Lega e Radicali nel mondo politico, per una riforma della giustizia che può passare attraverso i quesiti referendari recentemente approvati, ha pubblicato “Lobby e Legge”, secondo capitolo della denuncia verso un vaso di pandora che per anni non è stato scoperchiato, bensì tutelato.
Dottor Palamara, l’uscita de “Il Sistema” – suo primo libro – ha riportato nel dibattito pubblico l’attenzione sul mondo della giustizia, come certificato anche dalle campagne per i referendum proposti da Lega e Radicali. Ritiene che il tema tocchi profondamente le corde degli italiani o non c’è ancora la dovuta sensibilità e attenzione (con i conseguenti problemi di quorum che potrebbe portare per la tornata referendaria)?
Credo che l’uscita del libro “Il Sistema” sia stata per un verso inaspettata e per altro verso traumatica per molti, una sorta di ammissione collettiva del fatto che “il re è nudo” e nessuno sarebbe più stato in grado di trovare una coperta per nasconderlo. Dopo di che, a fronte delle innumerevoli richieste – sempre purtroppo rimaste inevase – di istituire una commissione parlamentare di inchiesta per far luce fino in fondo sui meccanismi che hanno regolamentato da sempre il sistema di nomine in magistratura, ecco che si innesta la campagna di raccolta delle firme promossa da Lega e Radicali per i referendum, campagna politica più che lodevole che si è fatta interprete di un malcontento vero sul tema della Giustizia, e che è stata in grado di cavalcare per mesi una istanza di riforma della Giustizia divenuto, grazie al libro scritto insieme a Sallusti, da tema di nicchia a tema di massa. Mi spiace dover constatare che, intervenendo alla presentazione romana del libro, Salvini si sia espresso con preoccupazione sui referendum facendo trapelare il rischio che essi non raggiungano il quorum: sarebbe una sconfitta per gli italiani, per la Giustizia, ma soprattutto per quella classe politica che coraggiosamente ha abbracciato su questo tema sensibile una battaglia di democrazia. In un caso del genere, essendo la riforma della giustizia diventata non più rinviabile, varrebbe la pena ragionare sulla efficacia di una commissione parlamentare di inchiesta anche se istituita con grande ritardo rispetto ai fatti denunciati oltre un anno fa, tenendo anche in considerazione il fatto che purtroppo il Sistema esiste ancora e che quei fatti non hanno scadenza né tanto meno la loro analisi.
Al di là delle conseguenze avute sull’opinione pubblica sembra che il velo di omertà interno al mondo della magistratura non sia ancora crollato. Seppur siano molti gli episodi al limite del lecito che lei – insieme a Sallusti – descrive nel libro, si potrà mai riuscire a far crollare questo muro o dovremo rassegnarci a constatarne l’immutabile e perenne esistenza?
Nel Gattopardo Tomasi di Lampedusa esprime con grande maestria e chiarezza il concetto del “bisogna che tutto cambi affinché tutto rimanga così come è”. Ecco, io credo che quel periodo storico sia ormai sepolto e che non sia più possibile procedere come se nulla fosse. Non è pensando di “archiviare” Palamara come un capro espiatorio di un Sistema più grande di lui e antecedente a lui che si risolve il tema di una magistratura che ha compromesso grandemente la propria autorevolezza. Ormai che con il libro è stato scoperchiato il vaso di Pandora e sono divenuti pubblici segreti di cui tutti immaginavano l’esistenza, è impossibile continuare come se nulla sia accaduto. È come togliere un tassello ad un mosaico. Inevitabilmente crollerà.
Nel libro parla di come – secondo lei – l’indagine di Morisi sia stata fatta trapelare e riportata con enorme clamore per colpire il leader della Lega Matteo Salvini, in piena campagna elettorale. Il sistema che lei racconta, quindi, quanto può influenzare la politica? Possibile che a trent’anni di distanza da Mani Pulite ancora si releghi qualsiasi tentativo di porre in discussione l’operato della magistratura nell’arco politico alla stregua di un racconto complottistico?
Il caso Morisi è talmente palese che credo nessuno oggi possa dire che la tempistica sia stata casuale. È stato un messaggio ai naviganti, la prova provata che esiste la regola del 3 che io descrivo nel primo libro: un magistrato, un giornalista e un ufficiale dei servizi fra loro solidali sono sufficienti a creare più effetti collaterali di un intero Parlamento.
Come giudica la riforma Cartabia sulla giustizia?
Se l’obiettivo della riforma Cartabia era quello di superare i guasti del correntismo dobbiamo sinceramente dire che non ci siamo. Non si può pensare di risolvere il problema delle correnti all’interno della magistratura limitandosi semplicemente a modificare il meccanismo elettorale di scelta dei candidati al Csm. Bisognava avere più coraggio. L’unica riforma da me temuta alla guida dell’ANM era quella del sorteggio perché consente di selezionare i candidati al CSM in maniera svincolata dalle correnti.
Nell’ ultima domanda vorrei concentrarmi sui giovani, i principali lettori dei contenuti. Come possono le ragazze e i ragazzi che ci seguono avere fiducia nel nostro sistema giudiziario? Perché approcciarsi allo studio del diritto o alla possibilità di lavorare in questo ambito se manca qualsiasi spiraglio di legalità e di meritocrazia?
Non si può mettere in discussione l’esistenza di Dio per gli errori terreni e materiali che commette la Chiesa. Il diritto è qualcosa di superiore. Bisogna battersi affinché il diritto venga tramandato e studiato perché in esso si trovano i germi della civiltà e del progresso. Senza diritto sarebbe la legge della giungla. Hobbes stesso lo diceva. Fedeltà in cambio di protezione. Senza il diritto viene meno anche il concetto di Stato. E non credo che questo apporterebbe alcun miglioramento agli esseri umani. Da uomo di diritto, che ha indossato per anni la toga e che auspica di indossarla ancora, auspico che moltissimi giovani si dedichino allo studio del diritto per poter costruire una Italia più giusta, più consapevole e in definitiva migliore.
Intervista di Alessio Moroni