Un Quirinale di centrodestra

Un Quirinale di centrodestra

La prima convocazione per l’elezione del Presidente della Repubblica è stata fissata dal Presidente della Camera Roberto Fico oggi 24 gennaio a partire dalle ore 15. Come recita l’articolo 83 della Costituzione e, come tutti sanno d’altronde, la più alta carica della nostra Repubblica è eletta dal Parlamento in seduta comune, Parlamento integrato da tre delegati per ogni Regione. Dunque, un totale di 1009 grandi elettori designeranno il futuro inquilino del Quirinale. Si dovrà deputare colui che- per usare una espressione del celebre giurista Carl Schmitt- è il “custode della Costituzione”, lo strenuo difensore dei valori e degli interessi costituzionali. A prima vista sembra che l’impianto costituzionale disegni una figura immota, statica ma, invero, ad un più attento esame ci si accorge immediatamente dell’elevato grado di politicità di cui questa è dotata. E’ espressione dei partiti, è figlia, questa figura, di una scelta politica consapevole, ponderata e ragionata. Immersa come è nella politica, essa non può esimersi dal rispondere a logiche riconducibili ai partiti politici, i detentori del potere nella nostra forma di governo. Chi blatera su una presunta neutralità, una presunta lontananza dai giochi politici del Presidente della Repubblica o non conosce la Carta costituzionale o è in malafede in ragione dei propri vantaggi personali. Un esempio per tutti ne è il tanto amato Presidente Pertini che, durante il settennato, non ha mai tradito la sua anima socialista, anzi in molte occasioni l’ha rivendicata con grande orgoglio. Quel che di peggio, tuttavia, si è potuto sentire in queste settimane è stato il continuo richiamo- soprattutto da parte di alcuni partiti- ad un padre della patria, un uomo “morale”, buono, una figura in odore di santità che potesse risollevare le sorti di un popolo scellerato ed un Paese alla deriva. Come se uno Stato di Diritto, democratico e pluralista, potesse stabilire cosa è morale e cosa non; come se uno Stato di Diritto potesse ingerire nella sfera personale di un privato cittadino per stabilire se un comportamento di questi sia morale o non. Uno Stato può decidere della liceità di un comportamento, non di certo della moralità. Diritto e morale- tra tutti ce lo insegna l’insigne Hans Kelsen- devono essere tenuti distinti, operano su piani differenti. A ritenere il contrario- si permetta la semplificazione- si finirebbe per accettare uno Stato etico tipico dei regimi dittatoriali. Francamente io non credo che Giuseppe Conte o Enrico Letta, insigni ed avveduti accademici, ignorino o non sappiano quanto ho detto. Costoro, piuttosto, profittano di una dilagante ignoranza per nefandi tatticismi politici. La verità è che i due leader intendono essi esprimere il Presidente della Repubblica. Non è di certo l’interesse del Paese che hanno a cuore. Vogliono evitare a tutti i costi che il centrodestra esprima un proprio Capo dello Stato. E’ risibile e sconcertante dover sentire Enrico Letta definire Silvio Berlusconi “divisivo”. E’ risibile perché nel 2013, quando Berlusconi gli votò la fiducia, lo stesso Letta definì il Cavaliere , con sorriso compiacente, un “grande”. Ma è sconcertante per altro motivo. Davvero possiamo pensare che anni fa non fosse divisiva una figura come quella di Giorgio Napolitano? Seriamente possiamo credere, a voler accedere alle erronee tesi di qualcuno, che fosse morale caldeggiare- come Napolitano fece- l’invasione armata della Ungheria? E’ risibile e sconcertante il modo in cui si fanno beffe del popolo italiano. Lasciando stare i grillini che già si trovano in cattive acque e nulla capiscono di politica, quel che è deprecabile è che i dem di democratico non hanno niente. La smettessero con questo richiamo al nobile e alto valore della democrazia. Se tengono, come paventano, alla contesa democratica, al pluralismo ideologico, alla divergenza d’opinioni convergano una volta e per tutte su una figura presidenziale proveniente da una cultura destrorsa. Che sia una figura di destra liberale o di destra sociale. Che sia Silvio Berlusconi o Gianfranco Fini. Che sia Gianni Letta o Ignazio La Russa. Ampia parte del Paese è oramai stanca di assistere imbelle alla egemonia, allo strapotere di una sinistra che tutto manovra. Una posizione di supremazia che non deriva dai consensi ma dai giochetti di palazzo con buona pace del popolo e della Costituzione. Il centrodestra non si faccia sfuggire questa occasione. Ha una seria, concreta possibilità di determinare le sorti del Colle. Grava, dunque, una spada di Damocle sulla testa dell’alleanza e, difatti, qualora non fosse decisiva in questa partita, ne potrebbe derivare una inevitabile dissoluzione. La sfida, tuttavia, è appena cominciata e il sogno di molti non è recondito: vedere un Cavaliere a Monte Cavallo.

Francesco Di Palma

 

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